Onorevoli Colleghi! - La legge 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche, meglio nota come «legge Galli», pose indubbiamente alcune finalità importanti e stabilì alcune linee operative tutt'altro che secondarie, come l'articolazione delle tariffe, la qualità delle risorse e del territorio, il ripristino degli acquedotti contro le inaccettabili dispersioni e altre ancora.
      Tuttavia i risultati complessivi di questa normativa non sono stati esaltanti e molte applicazioni che ne hanno inteso fare le regioni, specie in fatto di individuazione dei cosiddetti «ambiti territoriali ottimali» (ATO), sono state aberranti e in ogni caso controproducenti.
      Al di là della quasi totale abrogazione di tale legge, disposta dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, alcuni degli effetti perversi dalla stessa legge determinati hanno continuato a creare turbative, disservizi, malesseri funzionali e amministrativi non indifferenti. In modo particolare, in troppe zone si è registrato un aumento vertiginoso delle tariffe del servizio idrico integrato per gli utenti, mentre non si è arrivati affatto a una valida ed effettiva uniformità delle tariffe stesse. Peggio ancora, lo scadimento del servizio e l'appesantimento degli oneri si sono abbattuti soprattutto su una quantità di piccoli comuni, generalmente montani, che pure hanno nei loro territori le scaturigini di gran parte delle risorse idriche e che - sia pure tra molte contraddizioni - erano abituati ad avere almeno questo punto di vantaggio, ai fini della fruizione da parte della popolazione, a fronte di tanti pregiudizi e svantaggi connessi alla loro marginalizzazione,

 

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anche e soprattutto nei vari servizi pubblici.
      In molte zone, precipuamente montane o prevalentemente tali, è in atto un vasto movimento di insofferenza o di ribellione rispetto a imposizioni da parte delle regioni, dei grandi centri e degli ATO che, specialmente in tempi di giusta contestazione degli oneri di gestione degli enti locali e territoriali, non trovano più spazi di giustificazione. Le presunte economie di scala che venivano prospettate non ci sono state; al contrario, la situazione, a causa di queste aggregazioni forzose, è peggiorata. Si intende, dunque, sottolineare che il «consenso» delle realtà locali a forme di sinergia amministrativa e funzionale deve essere «riconquistato» con fatti virtuosi e garanzie, non con schematismi politici e burocratici immeritevoli.
      Da tali considerazioni nasce la presente proposta di legge, che non intende, almeno per ora, incidere sul contesto normativo vigente in maniera radicale, bensì soccorrere a quell'esigenza di corretto equilibrio tra autonomia dei comuni «minori» e di verificato terreno di collaborazione tra i territori comunali, sul quale andrà ricostituito il clima opportuno della migliore collaborazione, nell'interesse dei cittadini amministrati e serviti.
      Questo obbiettivo non è perseguibile con buoni propositi o con «ravvedimenti» solo enunciati e, ad oggi, poco credibili. È preferibile concepire norme che forniscano lo strumento per aprire, in maniera stringente, un nuovo tipo di rapporto tra autorità d'ambito e comuni. Si suggerisce, pertanto, di utilizzare la normativa del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, che rende non coatta, ma facoltativa, l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato da parte dei comuni montani con popolazione fino a 1.000 abitanti.
      Come si legge nella nuova formulazione proposta dell'articolo 148 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, si prevede che la facoltatività sia riconosciuta ai comuni, interamente montani, con popolazione fino a 5.000 abitanti, nonché a quelli anche sensibilmente più grandi, cioè con popolazione fino a 15.000 abitanti, il cui territorio sia però classificato montano per più della metà e le cui problematiche siano generalmente assai assimilabili a quelle dei comuni demograficamente minori (cosa che non sempre corrisponde alla consistenza geografica).
      Si è convinti che queste modificazioni alla normativa vigente indurrebbero benefici effetti nei rapporti amministrativi, come del resto sollecitano tanti amministratori di comuni di ogni parte d'Italia. L'eventualità che, di fronte a gravi disservizi e costi, la gestione - pur sempre rigorosamente pubblica - torni nelle dirette mani del comune produrrà una chiarificazione e una democratizzazione di tali rapporti, ferme restando allo stato le funzioni di regolazione generale e di controllo rimesse all'autorità d'ambito.
      Sia lecito, infine, chiosare che poco significa produrre leggi o «leggine» di generico «sostegno» ai comuni piccoli, interni e montani, se contemporaneamente non li si mette in condizioni di negoziare la propria qualificante adesione alle aggregazioni amministrative e di garantire qualità ed economicità reali di servizi ai propri cittadini.
 

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